lunedì 23 ottobre 2017

I romanzi "farfalla" - parte 1

Faccio sempre fatica a categorizzare i romanzi che leggo, non solo perchè non mi piace ridurre un libro a un semplice "giallo" o "fantasy" ma perchè davvero a volte mi viene difficile posizionare in un ipotetico scaffale della mia libreria alcuni titoli. Nelle librerie vanno tutti a finire nel settore "narrativa" o "modern fiction". Da ex libraia vi confido che questo è il settore del "questo non so dove cacchio metterlo". Insomma, come definire un libro che non è thriller, giallo, storico, fantasy, d'amore, fantascienza, horror, saggio eccetera eccetera? La mia personalissima definizione di questi romanzi è 


libri farfalla


foto: "The book of life" by David Kracov



no, non sono libri che parlano di entomologia (anche perchè io e gli insetti siamo acerrimi nemici) ma mi piace definirli così per due motivi: innanzitutto perchè, come le farfalle, sono storie leggere, raccontate quasi in punta di piedi, che si posano sul cuore senza fare rumore e se ne vanno lasciandoci a contemplarle con la beatitudine tipica di colui che è stato appagato; in secondo luogo perchè come i colori delle farfalle, anche queste storie hanno molte sfaccettature, non sono mai solo una cosa ma racchiudono più piani di lettura e generano nel lettore molteplici sensazioni.

Alcuni esempi dei miei libri farfalla preferiti sono questi



Stoner di John Williams 


Il romanzo più meravigliosamente banale che io abbia letto! E per una volta a banale non attribuisco una accezione negativa ma tutto il contrario. Qui il banale è inteso come il quotidiano, il comune, il normale. Ebbene si, Stoner non è altro che un medioman, un uomo come tantissimi altri che conduce una vita lineare, senza particolari ambizioni, senza particolari scossoni o slanci di eroismo. Una vita ordinaria ma che tiene incollati fino all'ultima pagina, forse con la speranza che arrivi il momento del riscatto, della deviazione da quel sentiero dritto su cui invece William Stoner camminerà per tutta la vita. Chiunque di noi ha uno Stoner nella propria cerchia di conoscenze, spesso siamo noi stessi Stoner, quando ci lasciamo scivolare gli eventi addosso incapaci di  far prendere al destino una piega diversa da quella che ci presenta, e secondo me sta proprio qui la forza del libro, l'identificazione, l'empatia che scatta nei confronti di questo professore universitario. Tifiamo per lui, gioiamo con lui e ci arrabbiamo con lui ma anche contro di lui e lo seguiamo fino alla fine della sua vita, dispiacendoci per la sua morte come se fosse quella di un amico.
Un altro dei motivi del successo di questo romanzo credo sia la scrittura impeccabile, qualitativamente eccellente, Williams  in alcuni tratti è perfino poetico benchè di poetico non ci sia nulla da raccontare. 



Le nostre anime di notte di Kent Haruf 


Protagonisti di questa storia sono Addie Moore e Louis Waters, una donna e un uomo in là con gli anni, entrambi vedovi, che abitano uno di fronte all'altro in un piccolo paesino, Holt, nel Colorado. Per spezzare la solitudine i due iniziano a frequentarsi finchè Addie lancia una provocazione a Louis: gli chiede di rimanere a dormire da lei, non per appagare un desiderio sessuale ma semplicemente per avere compagnia durante le lunghe notti, per riempirle con i racconti delle loro vite.  Louis con non pochi dubbi iniziali accetta e il rapporto tra loro diventerà sempre più intenso e profondo. La coppia si dovrà però scontrare con alcune difficoltà, in primis il pregiudizio della piccola cittadina dove questo rapporto non è ben visto, in secondo luogo con il figlio di Addie che si oppone ottusamente al proseguimento di questa particolare amicizia. 

Questo libro è molto breve, scritto in maniera scorrevole ed essenziale, non ci sono descrizioni dettagliate, la maggior parte degli eventi è narrata direttamente attraverso i dialoghi dei personaggi. Lo stile è semplice ma diretto e ci rende i due protagonisti subito familiari; non si può fare a meno di affezionarsi a questa coppietta e di commuoversi per l'importanza che danno alle piccole gioie della quotidianità e nonostante sia un libro velato di malinconia per il tempo che trascorre troppo velocemente, al contempo è permeato di gioia e felicità che si nascondono in ogni piccolo attimo che Addie, Louis e il piccolo contorno di protagonisti che li accompagnano, assaporano godendone appieno, consci del fatto che la vita non potrà concedere loro molte altre occasioni per viverne.


A voi piace questo genere di libri? Cosa avete letto che potremmo inserire in questo immaginario scaffale?












martedì 3 ottobre 2017

Libri da lasciare sullo scaffale - "Non parlare con la bocca piena" di Chiara Francini

E'sempre odioso trovarsi a leggere un romanzo su cui si avevano grandi aspettative che invece si rivela solo uno spreco di carta. 
Di solito abbandono i libri che dopo le 100 pagine non mi abbiano ancora coinvolta o per lo meno  non mi abbiano fatta incuriosire perchè sono convinta che la vita sia talmente breve che non valga la pena di perdere tempo con cose noiose ma questo di pagine ne aveva solo 288 quindi sono andata caparbiamente avanti.

Ebbene, il libro in questione, letto un mesetto fa circa è stato scritto da  Chiara Francini e si intitola NON PARLARE CON LA BOCCA PIENA (ed.Rizzoli)


Il romanzo parla di una ragazza sulla trentina che dopo essersi lasciata col suo fidanzato decide di ritornare a vivere con i suoi. E fin qui, nulla di sconvolgente. Cosa c'è di interessante quindi? Beh, che la sua famiglia è particolare: Chiara ha due padri. 
Non voglio rivelare altro (anche se non è che succeda chissà cosa eh...) ma fermarmi a elencare le cose per cui questo libro mi ha fatto dire "poveri alberi, tagliati per stampare questo libro bruttobruttobrutto!".

Partiamo dal linguaggio: la scrittrice ha usato il romanzo per fare sfoggio della sua cultura, utilizzando molti riferimenti al teatro e alla letteratura farciti di paroloni di un linguaggio quasi aulico che in questo contesto, quello di un romanzetto scorrevole da leggere sotto l'ombrellone, non ci azzeccano per niente. 

Secondo: i personaggi sono "troppo" tutto. Sono assurdi, sopra le righe, spesso delle macchiette. L'unico personaggio piuttosto normale è l'ex fidanzato della protagonista. Non esistono "medioman" nella storia, sono tutti bravissimi, eccellono in quello che fanno, sono estremamente acculturati o eccentrici, benestanti e spesso eccessivi nei loro comportamenti, nell'abbigliamento, nel linguaggio e così via. Insomma, l'autrice cerca di farci credere che di questi soggetti che nell'arco di un'intera vita incontreremmo si e no 5 volte, sia popolato il mondo, Roma in particolare. Purtroppo invece di sottolineare l'unicità di un determinato contesto ha finito per crearne uno stereotipo.

Terzo ed ultimo: la poca credibilità delle situazioni. Cosa potrebbe dire secondo voi per prima cosa un padre a una figlia che torna a vivere con i genitori, amareggiata e delusa dopo la fine di una convivenza con proprio compagno? Mi spiace tesoro! NO! Vieni qui che ti abbraccio? NO! Cosa ci fai qui? NO! 
L'amorevole padre le decanta nientepopodimenoche un sonetto di Shakespeare!! Inverosimile, anzi, direi quasi ridicolo (benchè volessi davvero un padre capace di citarmi il mio caro Shakespeare...in effetti penso che il mio non saprebbe nemmeno pronunciarne il nome...). 

Potrei anche aggiungere che la trama è piuttosto banale, oscilla tra il comico e il drammatico, è molto prevedibile e ho come l'impressione di avere già letto qualcosa di molto simile ma direi che ho già ampiamente espresso il mio disappunto per questa lettura da cui mi aspettavo qualcosa di più.

La cosa che mi irrita però più di tutto è il fatto che molto probabilmente se il manoscritto fosse stato firmato da Bernarda Bernardi e non da Chiara Francini non se lo sarebbe filato nessuno.

Chiara, damme retta, continua a fare l'attrice e lascia il mestiere di scrittore a chi lo sa fare!